Dott.ssa Ilaria Del Duca, Psicologa clinica
Esiste una correlazione significativa tra le esperienze ambientali, relazionali e la struttura cerebrale: in altre parole, tramite l’esperienza e l’apprendimento di nuovi modi di stare in relazione è possibile modificare la struttura sinaptica dei neuroni. Infatti è noto come l’apprendimento ricavato da una relazione riparatoria possa stimolare la funzionalità di siti cerebrali poco attivati fino a quel momento o potenziarne altri. Uno studio effettuato nel 2011 sui guidatori di taxi londinesi ha dimostrato infatti che il loro cervello è caratterizzato da un maggior volume dell’area posteriore dell’ippocampo, struttura cerebrale cruciale per la memoria e la ricerca visuo-spaziale rispetto ai restanti cittadini non guidatori di taxi di Londra (Woollett, K.& Maguire, 2011). Questo significa che attraverso l’esperienza di nuovi apprendimenti e di costanza nel tempo (come un percorso psicoterapeutico), la persona riesce a potenziare delle aree cerebrali che fino ad allora funzionavano in un modo disfunzionale o, ancora, non venivano attivate. Ad esempio, nel disturbo di panico, l’attivazione dell’amigdala ha un ruolo preponderante. L’amigdala viene prontamente attivata quando si ha la percezione di essere di fronte ad un pericolo e la sua funzione è quella di stimolare velocemente la risposta dell’organismo per proteggere la sopravvivenza della persona. Questo meccanismo ha l’obiettivo di agire azionando la risposta di lotta o fuga senza passare per l’elaborazione cognitiva e più lenta della corteccia pre-frontale.
Il risultato sarà un’estrema attivazione emotiva con sintomi quali tachicardia, sudorazione, paura di morire, sensazione di svenimento, tremore, nausea o vomito, fame d’aria. Insomma, un attacco di panico. Rimane un meccanismo fisiologico protettivo, qualora il pericolo fosse di vita o di morte ma spesso l’amigdala invia il comando a fronte di situazioni quotidiane e questo può interferire con le normali attività della persona.
La psicoterapia migliora l’autoregolazione emotiva, la capacità di problem solving, la consapevolezza di quegli schemi disfunzionali che concorrono a mantenere il problema che ciclicamente si ripresenta. Si tratta della capacità di indurre dei significativi cambiamenti nella sfera intrapsichica e relazionale alterando l’espressione dei geni che producono cambiamenti nell’attività funzionale di alcune aree del cervello (Kandel, 1999). Questi cambiamenti cerebrali si traducono al miglioramento sintomatologico, per cui solo quando alla fine di un periodo di trattamento psicologico si osserva una significativa riduzione dei sintomi clinici è rinvenibile un cambiamento significativo dell’attività funzionale dei lobi frontali (Wykes-Brammer-Mellers et al. 2002).
Si dice che “di relazioni ci si ammala, di relazioni si guarisce” e questo breve articolo ne descrive le basi psicobiologiche. La stanza di terapia è una dimensione profonda che impegna il clinico ad accogliere la complessità della persona rispettandone i tratti, le difese ed il temperamento. Comprendere senza ridurre e semplificare è arte terapeutica utile ad accompagnare la persona verso la propria autenticità, liberandosi le spalle (a volte lo stomaco o il petto) di fardelli che affaticano e confondono. Le parole curano e modellano e se si sanno scegliere quelle giuste si confermano un potente strumento terapeutico.
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