Siamo sospesi.
Incastrati in quell’istante, tra un passo e l’altro, in cui sei in equilibrio su una gamba sola prima di appoggiare l’altro piede e ritrovare stabilità.
L’abbiamo dimenticato com’è non sentirsi sicuri e ciondolare arrancando passi incerti.
Siamo in attesa.
Come dopo un’immersione, quando hai quasi terminato il fiato e ti spingi verso la superficie attendendo il momento in cui, fuori dall’acqua, potrai di nuovo riempire di aria buona i polmoni.
Stiamo sperando.
Come quando aspetti un esito, dopo un esame,
e vivi i momenti prima in un vortice che gira i pensieri
e a volte sei certo che ce la farai,
altre invece sei pronto al buio.
Sarebbe bello terminare queste righe con una bella frase di impatto che lasci intravedere come andranno le cose Dopo.
Ma a volte, davvero, non si sa come andrà.
E allora che si fa?
Niente.
Si sta in quell’attesa, la si ascolta. Si impara da essa e si osservano tutti i cambiamenti che semina.
Diventa complesso stare a mollo in situazioni che non puoi controllare, nè prevedere e si tende a domandarsi tanto, troppo, passando il tempo a rimuginare sulle possibili soluzioni,
aspettando conferme che non possono trovare risposta.
Desideri trovare un appiglio quando le onde si fanno grosse.
Cosi come su una zattera, l’utilità sta nel dare protezione e sicurezza.
Stare lì sopra ti aiuta durante la tempesta,
fa attendere le acque calme in un luogo sicuro.
Per tutto il tempo di cui si ha bisogno.
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